Dal 22 al 29 novembre, nell’ atrio del Comune di Rivoli in corso Francia 98, sarà allestita la mostra-installazione (con accesso gratuito) dal titolo “Com’eri vestita?” a cura di Amnesty 115 di Collegno.
Gli organizzatori, Amnesty 115, hanno fornito materiale da condividere per spiegare cosa verrà esposto, unitamente al lavoro che stanno svolgendo: in Italia, in particolare, persiste il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita. Si stanno battendo perché venga attuata la revisione, richiesta al Ministro della Giustizia, dell’articolo 609-bis del Codice penale, in linea con gli impegni presi nel 2013, affinché qualsiasi atto sessuale non consensuale sia punibile.
La mostra “What Were You Wearing?”, in italiano “Com’eri vestita?”, racconta storie di violenza sessuale attraverso gli abiti che intendono rappresentare, in maniera fedele, l’abbigliamento che la vittima
indossava al momento della violenza subìta.
Ispirata al poema “What I was wearing” di Mary Simmerling “Com’eri vestita? Mi hanno fatto questa domanda un sacco di volte. Mi hanno costretto a ricordare un sacco di volte”.
il progetto nasce nel 2013 grazie a Jen Brockman, direttrice del Centro per la prevenzione e la formazione sessuale dell’Università del Kansas, e di Mary A. Wyandt-Hiebert responsabile di tutte le iniziative di
programmazione presso il Centro di educazione contro gli stupri dell’Università dell’Arkansas e diffuso in Italia grazie al lavoro dell’ASSOCIAZIONE LIBERE SINERGIE che ne propone un adattamento al contesto socio-culturale del nostro Paese.
L’idea alla base del lavoro è quella di sensibilizzare il pubblico sul tema della violenza sulle donne e smantellare il pregiudizio che la vittima avrebbe potuto evitare lo stupro se solo avesse indossato abiti meno provocanti.
I visitatori possono identificarsi nelle storie narrate e al tempo stesso vedere quanto siano comuni gli abiti che le vittime indossavano.
“Bisogna essere in grado di suscitare delle reazioni, all’interno dello spazio della mostra, simili a quelle riportate”, afferma Brockman, per indurre le visitatrici a pensare: “ho questi indumenti appesi nel mio
armadio!” oppure “ero vestita così questa settimana”.
In tale contesto si rendono evidenti gli stereotipi che inducono a pensare che, eliminando alcuni indumenti dagli armadi o evitando di indossarli, le donne possano automaticamente eliminare la violenza sessuale. “Non è l’abito che si ha indosso che causa una violenza sessuale – aggiunge Brockman – ma è una persona a causare il danno. Essere in grado di donare serenità alle vittime e suscitare maggiore consapevolezza nel pubblico e nella comunità è la vera motivazione del progetto”
Si tratta della raffigurazione di diciannove abiti indossati da donne vittime di violenza sessuale, volta allo smantellamento dei pregiudizi che tutt’ora avvolgono l’opinione della persona comune quando ci si approccia al tema dello stupro, nella convinzione che certe tipologie di abiti facilitino o meno l’essere scelte come bersaglio. La domanda “Com’eri vestita ?” riattualizza l’evento traumatico vissuto dalla vittima di violenza, quasi attribuendole in maniera subdola la colpa.
E’ possibile vedere il video di presentazione a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=iytapI4AfJ0